VAE VICTIS ... la storia la scrivono i vincitori, ma non sempre.
LA STORIA LA SCRIVONO I VINCITORI ...
...ma non sempre. Se c'è un personaggio, uno storico, che seguo con vivo interesse nelle trasmissioni televisive questi è senz'altro il prof. Alessandro Barbero. Un paio di giorni fa mi è capitato di seguire la replica di una sua trasmissione per la serie
"a.C.- d.C." su RaiStoria
il cui tema era imperniato su Massimiliano d'Asburgo, Imperatore del Messico. Pur nutrendo una profonda stima verso il prof. Barbero in generale, come storico del medioevo ed esperto di storia e tecnica militare e, in particolare, per come è capace di coinvolgere gli ascoltatori nei suoi racconti, devo, mio malgrado, notare che, nonostante siano passati più di cento anni dalla dissoluzione degli imperi centrali, le sue "lectio", come anche quelle di altri importanti divulgatori scientifici come ad esempio Alberto Angela - quando ebbe a parlare, per esempio, di Miramare - che trattano questi argomenti, sono ancora impregnate di quella retorica che ha pervaso il nostro tempo dal 1918 ai giorni nostri. Non me ne voglia l'illustre cattedratico se, umilmente, faccio notare come egli abbia presentato marginalmente la figura dell'Imperatore Francesco Giuseppe come un tiranno che impedì al fratello minore, progressista per indole, di attuare quelle riforme che il Lombardo Veneto, sotto la cosiddetta dominazione asburgica, aspirava. Certamente i tempi erano pregni di aspirazioni libertarie e c'era senza dubbio una parte della popolazione, sotto il sempre cosiddetto dominio asburgico, pronta alla rivolta. Ma, come anche in altri territori da secoli appartenenti di fatto e di diritto all'Austria, solo una parte della popolazione era pienamente convinta a rivoltarsi contro l'autorità di governo costituita da lungo tempo. Per lo più questi gruppi erano composti da intellettuali, imprenditori e componenti della borghesia che aspiravano a posizioni di prestigio in seno al nuovo nascente Regno dell'Italia unita... purtroppo poi si è visto come è andata. Ma ormai non si fa quasi più caso quando, nel raccontare i fatti accaduti ormai più di cent'anni, fa i buoni siamo sempre noi (italiani ???) ed i cattivi sono gli altri, sempre gli altri (i crucchi ???) ... un po' come capitava e capita tutt'oggi dall'altra parte del mondo dove i buoni, civilizzatori ed evangelizzatori sono i bianchi (europei, yankee, ecc. ???) ed i cattivi sono i barbari pellerossa nativi americani - ignorantemente denominati indiani - ormai quasi completamente annientati. Però la Storia qualche volta si ribella ed allora magari a tanti, forse troppi, anni di distanza qualche voce fuori dal coro fa capolino e ti rappresenta un'altra visione dei fatti, una visione libera da ideologie e retoriche che ti scuote dentro, ti fa aprire traumaticamente gli occhi e guardare i fatti come se fossero un altro film. In questi giorni di fine aprile e inizio maggio, giorni che preparano alla grande ricorrenza dell'entrata dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale è interessante, prima di ogni cosa, soffermarsi sulla posizione presa dall'allora governo italiano che, dopo quasi un anno di neutralità, si allea inizialmente e in maniera molto segreta - sconosciuta anche all'interno del Parlamento Italiano - con i nemici degli amici per poi diventare amico degli ex nemici e nemico degli ex amici; e, secondariamente osservare come una qualsiasi data, se imposta demagogicamente, possa fare breccia nel comune sentire e diventare una sorta di sacro avvenimento ancorché parzialmente mistificato. Basta quindi un racconto, una specie di diario di bordo tenuto da un ufficiale dell'altra parte della barricata per farti crollare quel castello di carte che ti aveva accompagnato per tutti gli anni: dall'infanzia all'adolescenza, dall'età matura a quella in cui cominci a farti delle domande che non ti eri mai posto prima e che, volendo aver delle risposte, incominci a cercare, documentarti e leggere. Leggere, appunto.
TAPPE DELLA DISFATTA è il "diario di bordo" (mi si consenta la similitudine) di un ufficiale dell'Imperial-Regio Esercito, un uomo onesto, mite che si è trovato, giocoforza, al posto sbagliato nel momento sbagliato ma che ha trasformato questa sua vicissitudine in un prezioso racconto, questa volta, fatto da perdente e che almeno una volta - ma non è l'unica - descrive ciò che è stato senza imbiancature ideologiche. Il dottor Paolo Petronio, in un suo articolo in merito, ne parla così:
IL MISTERO DEL 24 MAGGIO
"Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio", così comincia la celebre "Canzone del Piave" di E.A.Mario (nome vero Giovanni Gaeta). Lasciamo un momento da parte la data e facciamo una riflessione sul testo. Fra il Piave e l'antico confine austro-ungarico (vicino Torviscosa) vi sono circa sessanta chilometri. E' evidente che in questi versi vi è un colossale errore di strategia militare. Quando scoppia una guerra l'esercito deve essere già sulla frontiera, non appena avviarsi a così tanta distanza. Ma concediamo la "licenza poetica". Però nel verso successivo "l'esercito marciava per raggiunger la frontiera, per far contro il nemico una barriera" vi è una colossale menzogna. Secondo il diritto internazionale vi è uno Stato che dichiara la guerra, definito "Stato aggressore" e uno Stato che la subisce definito "Stato aggredito". Fu l'Italia a dichiarare la guerra e quidi ad essere l'aggressore. Diciamolo onestamente: ci siamo cascati tutti. Io stesso ricordo da bambino che vedevo questo nemico invasore da cui bisognava difendersi, mentre poi studiando la storia e riflettendoci su ho capito che era l'Austria ad essere invasa, e lo sarà per due anni, fino a Caporetto. Dove le parti si invertirono, ma non perchè l'Austria voleva aggredire l'Italia, semplicemente perchè è logico che se un esercito è in fuga, l' altro lo insegue fino a dove è possibile, e si ferma quando i necessari rifornimenti diventano troppo lontani per consentire di proseguire. Oltre anche al fiume Piave in piena, insuperabile.
Fatta questa riflessione sulla Canzone del Piave torniamo alla data del 24 maggio 1915. Secondo la storia ufficiale la dichiarazione di guerra italiana segnava come inizio delle ostilità le ore zero del 24 maggio, cioè mezzanotte. Su questa ora è stata poi creata tutta una vicenda storica riguardante "il primo colpo di fucile sparato". Ufficialmente si dice che nella località di Visinale di Corno di Rosazzo sul fiume Iudrio che allora faceva da confine alle ore 22 del 23 maggio vi fu un tentativo da parte di soldati austriaci di sabotare il ponte , e che il finanziere Pietro Dell'Acqua sparò e li mise in fuga. Su questo fatto esiste persino un museo della Guardia di finanza dove è conservato questo fucile e sul luogo vi è un monumento. Inoltre si aggiunge che Forte Verena sulla linea degli altipiani di Lavarone al confine trentino sparò alle ore 4 del 24 maggio il primo colpo di cannone. Forte Verena. ed ecco allora entrare in gioco Fritz Weber.
Carneade, chi era costui? Già chi era Fritz Weber, o esattamente per l'anagrafe Friedrich Wilhelm Weber, nato a Vienna il 4 giugno 1895 e morto a Vienna l' 1 giugno 1972?
Era un giornalista e scrittore austriaco, autore di molti romanzi ma anche di alcuni libri storici sulla prima guerra mondiale, il più importante di questi libri si intitola DAS ENDE EINE ARMEE (La fine di una armata) ma nella traduzione italiana ha avuto un altro titolo: TAPPE DELLA DISFATTA.
Bisogna chiarire subito che Weber non era un militarista, non era un eroe (in sostanza eroe è sinonimo di fanatico), era un uomo onesto che viveva una vita normale. Compì il servizio militare di leva e si specializzò in artiglieria. Praticamente finito il servizio scoppiò la guerra nel 1914, e quindi rimase in servizio. Ma non fu inviato al fronte orientale russo. Data la sua specializzazione fu inviato in Tirolo, più esattamente in quello che allora era il sud-Tirolo, il Welschtirol di lingua italiana, cioè l'attuale Trentino. Qui erano in costruzione da alcuni anni dei forti voluti dallo stato maggiore austriaco per la difesa contro l'Italia nel punto del confine degli altipiani di Lavarone, ritenuto il punto più debole della fascia confinaria. Si dirà: ma Italia e Austria-Ungheria non erano alleate nella "Triplice alleanza" assieme alla Germania? Si, lo erano ma l'Austria - giustamente - non si fidava dell'Italia.
Qui si può ricordare il "capolavoro diplomatico" - naturalmente in senso ironico - rimasto unico nella storia fatto dall'Italia nel 1915. Con trattative segrete l'Italia aderì al "Patto di Londra", cioè si alleò con le nazioni nemiche di Germania e Austria-Ungheria. Ma contemporaneamente era sempre membro della "Triplice alleanza". Il Patto di Londra venne firmato il 26 aprile 1915 e la triplice alleanza fu disdetta il 7 maggio. Quindi per 12 giorni l'Italia fu alleata di entrambe le parti in guerra !
Nella zona degli altipiani di Lavarone l'Austria costruì quattro forti: Vezzena, Verle, Luserna e Gschwendt (detto anche Belvedere). Il loro scopo era sbarrare questo punto per circa tre settimane, poi si prevedeva che la zona sarebbe stata difesa dalla fanteria. Il Comando austriaco prevedeva infatti un attacco italiano (saggia preveggenza con un anno in anticipo) ma non sapendo quando ed essendo le truppe impegnate sul fronte russo i forti dovevano tener duro fino all'arrivo dei rinforzi. Dal lato italiano invece l'alleato per modo di dire decise pure di costruire delle fortificazioni per controbattere questi forti: Verena (citato poco sopra) e Campolungo.
Weber venne quindi messo in servizio a forte Verle (forte che gravemente danneggiato e ovviamente poi abbandonato da ormai cento anni, esiste ancora ed è visitabile con somma cautela).
Il libro, come detto in italiano TAPPE DELLA DISFATTA, è un capolavoro. Non è un libro di guerra nel senso della retorica: i buoni e i cattivi, i liberatori degli oppressi, i puri che si sacrificano per amor di patria, e via discorrendo. E' un libro profondamente umano, dove l'autore vive un dramma condiviso sia dalla sua parte che dalla parte avversaria, Colpisce in questo libro soprattutto il grande rispetto per tutti, amici e nemici, in sostanza compagni di sventura. Weber non era nè un fanatico nè un militarista. Era un uomo onesto, coinvolto suo malgrado in un qualcosa più grande di lui e al quale non poteva sottrarsi, e che perciò combattè con onestà, facendo quello che era necessario fare, senza odiare nessuno ma considerando il nemico come uomini che subivano la sua stessa sorte ed erano stati messi gli uni contro gli altri per volontà superiore, e con il preciso umano obiettivo, e ovviamente pure con tanta fortuna, di riuscire a ritornare a casa vivi. Indicativo in tal senso questo passo poco dopo l'inizio: " Da un momento all'altro un rombo può distruggere il gran silenzio e segnare l'inizio di un terribile avvenimento: la guerra. A Roma e a Vienna essa sarà rappresentata da un foglio di carta che un signore elegantemente vestito e dai modi assai cortesi consegna ad un altro del tutto identico a lui. Qui proromperà dalla foresta col lampeggiare di diecimila baionette e il passo di una colonna in marcia sulla strada, oppure tuonerà da qualche piega del terreno distruggendo parapetti e casematte". Descrizione perfetta: quelli in alto che la guerra l'hanno voluta e cercata e che poi saranno solo spettatori lontani; e quelli in basso, che in gran maggioranza non sanno nemmeno perchè si deve combattere, ma sanno che sono comunque obbligati a farlo e che in gran parte moriranno senza rivedere le proprie famiglie, per poi finire ricordati in grandiosi e retorici cimiteri, omaggiati da quelli in alto che li avevano gettati nel carnaio.
E quindi ora si può chiarire il titolo di questo scritto: il mistero del 24 maggio. Ridiamo la parola a Weber: "Un pomeriggio mentre me ne sto seduto in compagnia di Ludwig Trenker su uno spalto del forte, all'ombra di una torretta, squilla l'allarme. Voci eccitate risuonano nei corridoi. Ci precipitiamo giù per le scale, chiudendo dietro di noi la porta di ferro. Nel lungo corridoio delle casematte sono radunati tutti gli uomini liberi dal servizio. Gli ufficiali stanno a destra. Silenzio di tomba. Con voce tremante il comandante legge un dispaccio. Soltanto qualche parola staccata giunge sino a me : "dalle ore 18 di questa sera stato di guerra con l'Italia....il nemico sta per entrare a Castel Tesino....attacchi si attendono da un momento all'altro.....Comandante supremo." Un lungo silenzio, quindi l'ordine "rompete le righe"!" Quel giorno è rimasto indelebile nella memoria di tutti coloro che lo vissero, fra l'Ortles e l'Adriatico: 23 maggio 1915."
Quindi in base a questa precisa testimonianza la guerra cominciò alle ore 18 del 23 maggio 1915. Ci si potrà chiedere: che interesse poteva aver Weber ad affermare questo? Weber era, come si è già detto, un uomo normale che viveva una vita normale, che si trovò assieme a tanti altri coinvolto per ordini superiori in una vicenda più grande di lui. Riceveva un ordine e lo eseguiva. Ricevette il dispaccio che dalle ore 18 del 23 maggio si era in guerra con l'Italia e ne prese atto. Non poteva avere nessun interesse a mentire. Il suo libro descrive fatti reali, semplicemente quello che è realmente avvenuto.
Leggiamo più avanti: "Sono le 18. Le ombre avvolgono lentamente le conche boscose e le valli che stanno davanti al forte. .......dalla torretta-osservatorio scruto le verdi colline, le foreste di pini, divenute adesso "paese nemico" .......improvvisamente alcuni uomini fanno irruzione nel locale "Che cosa succede?" - "allarme per i serventi degli obici. C'è l'ordine di aprire il fuoco!" .....Cupola 13 ! Calcoli silenziosi. La gigantesca volta di acciaio che ci sovrasta si alza, rotea, si abbassa sulla sua corona di rulli. Qualcuno grida delle cifre: "direzione- alzo-inclinazione"....il capo pezzo manovra i congegni di punteria. Lancette ed aste si spostano, la bocca del mostro si abbassa silenziosamente, la culatta scivola su un lato. Una granata scompare nella camera di scoppio, mentre vien collocato il cartoccio. In questo preciso attimo una strana impressione s'insinua in me. penso che le cinque persone le quali, me compreso, si trovano nella torretta, stanno per commettere un delitto terribile. L'uomo vicino all'affusto tiene in pugno la morte. Quello che sta per accadere non potrà venir mai più cancellato. Un tuono. Il primo colpo Fuoco! Uno strappo alla cordicella, un rombo fragoroso. il pezzo rincula, per tornare poi in posizione di sparo.....il dado è tratto. Irreparabilmente....Aschenbrenner guarda col cannocchiale.....ad un tratto grida "Corrono! Corrono!" - "Dove? Chi?" Accosto l'occvhio all'oculare, una macchia scura ondeggia davanti a me...Uomini! A passo lento discendo nelle casematte. Ho l'impressione di aver commersso un delitto".
Erano passate da poco le 18, ed era la guerra, la vera guerra. E certamente non si potrà dire che l' Austria cominciò la guerra sei ore prima. Se così fosse stato l'Italia avrebbe gridato fuoco e fiamme sulla slealtà del nemico. Invece si combatteva perchè era scoccata l'ora indicata: le 18. E qui abbiamo cannonate fra forti, soldati all'assalto, fatti terribili,non una semplice fucilata.
A questo punto preso dagli scrupoli ho cominciato a guardare in alcune enciclopedie estere in mio possesso. Ovunque 23 maggio ore 18. Alla fine ecco Wikipedia. Non è il massimo, questa "enciclopedia libera" (libera perchè ognuno è libero di scriverci) è piena di errori, bisogna leggerla sempre con molta attenzione. Ma su questo argomento, ecco la data d'inizio: 23 maggio. Per scrupolo guardo Wikipedia slovena: pomeriggio 23 maggio. Wikipedia tedesca. pomeriggio 23 maggio. Wikipedia francese: pomeriggio 23 maggio. Wikipedia inglese: pomeriggio 23 maggio. Persino poco tempo fa parlando con una conoscente, questa mi disse di aver letto, ma non ricordava dove, che tutto cominciò nel pomeriggio del 23 maggio. Tutti concordano sul 23 maggio. E Weber ci dà la conferma. E allora sorge la domanda: perchè il 24 maggio? Perchè musei e monumenti al primo sparo alle ore 22 del 23 maggio, prematuro di due ore? E' come se questa data, 24 maggio, fosse stata imposta ufficialmente ignorando quando avvenuto dalle 18 alle 24 del 23 maggio. Ma perchè? Segreto di stato? E a che fine? Non lo sapremo mai, e non si potrà mai saperlo. Troppa retorica è stata fatta sulla data del 24 maggio, comprese vie e piazze, e la retorica non si può smontare.E sono ormai cento anni di retorica, un secolo. E se su quel primo sparo esiste pure un museo certamente i curatori si opporranno decisamente, un museo basato su notizie false? Ma vogliamo scherzare? La data ufficiale è 24 maggio e tale deve restare. Proibite le obiezioni. E in quanto al Ministero della difesa, interpellato, la risposta è 24 maggio e per quanto riguarda il primo sparo non vi è certezza, c'è chi dice alle 22 sullo Iudrio, ma la cosa non è sicura, potrebbe essere avvenuto ovunque. Il 24 maggio resta quindi, ed è chiaro che resterà per sempre, la data del mistero. Un altro mistero tipicamente italiano.
Per concludere, la vicenda di Fritz Weber. Forte Verle e gli altri tre dovevano resistere tre settimane, ma i rinforzi non arrivarono e resistettero, pur ridotti a un cumulo di rovine, quasi un anno. Significativa questa sua riflessione "E' il solito tormento, aspettare, aspettare, aspettare....Ogni scoppio ha su di noi l'effetto di un poderoso pugno sulla testa. Le orecchie fischiano, le vene della fronte si inturgidiscono, il sangue esce dalle orecchie. Di quando in quando qualcuno si sente male e deve bere del rum per poter rimanere in piedi. Sei ore passate nell'osservatorio servono ad espiare tutti i peccati che un uomo normale può commettere durante la sua vita". Weber paragona giustamente la battaglia fra forti come essere richiusi in una nave impegnata in battaglia, con l'aggravante però che la nave può spostarsi e manovrare mentre il forte è un bersaglio fisso. Poi il fronte si spostò verso Asiago con la "Strafexpedition" e per forte Verle la guerra finì. Non per Weber, ovviamente. Prima passò sull' Altipiano di Asiago, poi sul monte Hermada, poi nella conca di Plezzo e alla battaglia di Caporetto, poi presso San Donà di Piave, sempre compiendo con onestà il proprio dovere. E con lo sfascio dell'Impero riuscì con grande abnegazione a riportare a piedi la sua batteria e i suoi soldati dal Piave a Vienna. Pago di essersi sempre comportato con onestà, lealtà e saggezza. Che poi ha riportato in questo meraviglioso libro antiretorico, che onestamente farrebbe un gran bene a tutti leggere. E su questa lunga ritirata si svelano molti misteri sulla famosa "battaglia di Vittorio Veneto" che la storiografia europea considera un'abile montatura.
Fritz Weber ha pure scritto un secondo libro DAL MONTE NERO A CAPORETTO che pure solleva molti interrogativi. Da parte italiana le undici battaglie dell'Isonzo sono sempre presentate come undici vittorie. In una enciclopedia si può leggere "l'avanzata fu lenta ma costante". Nel libro di Weber queste undici battraglie sono pure presentate come undici vittorie ma austriache. Perchè l'esercito austriaco si difendeva, Cadorna voleva sfondare ( definiva le battaglie "spallate"), arrivare a Lubiana e poi avanzare sino a Vienna, e invece a prezzo di migliaia di morti avanzava ma di poco. Bloccargli la strada era quindi anch'essa una vittoria. Punti di vista? In una guerra conta il risultato: non doveva passare e non passò, indipendentemente dal fatto che il fronte era avanzato di cento metri. E mentre se ne stava tranquillo a Udine con le sue carte centinaia di migliaia di poveri soldati morirono inutilmente. Vite che con un comandante meno ottuso potevano essere risparmiate.