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Nostalgia? no!


No, non è nostalgia dei bei tempi andati è semplicemente la constatazione di una realtà ormai radicata da lungo tempo.

Come spesso succede nella vita imprenditoriale, e qui a Trieste lo sappiamo bene,  in particolar modo di una famiglia, ma non solo,  c'è chi fonda un'impresa, una ditta o qualsiasi altra attività produttiva e  questa è la prima generazione imprenditoriale. 

Lentamente la fa crescere fino a che non deve lasciarla a chi viene dopo di lui già bella cresciuta e produttiva.

Quello che segue trova tutto già avviato e continua a lavorarci sopra per crescerla al meglio e ricavarne qualche utile in più. Per male che vada riuscirà a conservare l'idea iniziale del fondatore se non ingrandirla ed espanderla; e questa è la seconda generazione.

Poi, inevitabilmente, anche il secondo imprenditore deve lasciare il posto a chi lo seguirà. Purtroppo, però, nella maggior parte dei casi è questo il momento in cui il terzo arrivato, e siamo alla terza generazione, gode a piene mani di ciò che il primo ha fatto ed il secondo ha conservato e ampliato o peggio dissiparlo.

Non sapendo o non volendo continuare la tradizione iniziata da coloro che lo hanno preceduto lascia che le cose vadano per conto loro o, per varie circostanze, si libera da impegni per lui difficili da gestire se non addirittura cede o sposta quello che precedentemente era redditizio nel luogo in cui era stato ideato e creato e ampliato creando benessere a se e a gli altri.

Questo è ciò che, in un certo qual modo, è accaduto alla città di Trieste ed al territorio circostante.

Sotto l'amministrazione Asburgica, per circa 500 anni, tra alterne fortune, la città è cresciuta quadruplicando il numero dei suoi abitanti, diventando il porto dell'Impero Asburgico, sostituendo nei traffici lungo l'Adriatico la Serenissima Repubblica ormai definitivamente caduta. 

E' diventata la seconda città dell'Impero per importanza dopo Vienna, forse alla pari di Praga, cedendo poi il posto a Budapest in seguito all' "Ausgleich" quando è stata instaurata la doppia monarchia (intesa come K. u. K. "Kaiserliche und Koenigliche Doppelmonarchie). 

Centro scientifico e culturale d'eccellenza dell'allora "Mitteleuropa" divenne un importante mercato finanziario, commerciale, di navigazione e delle assicurazioni.

Nel1918 la fine della prima mondiale decretò anche la fine dell'Austria Felix e conseguentemente anche la dissoluzione delle Vecchie Province. Trieste divenne "finalmente" italiana dentro i coseddetti confini naturali determinati dall'arco delle Alpi e dai mari che circondano la penisola.

Inizia così la seconda fase della vita secolare della città, la cosiddetta  "seconda generazione" come più sopra descritto.

Dopo la spartizione delle terre ex Asburgiche con il trattato di Rapallo, le ex vecchie province passarono sotto il dominio italiano.

Durante il ventennio Trieste è stata un po' vezzeggiata dall'amministrazione italiana anche perché a Trieste i moti "irredentisti" (?) dell'inizio del '900 hanno dato dimostrazione del profondo sentimento italiano di una parte della cittadinanza, una piccola parte in realtà insediata solamente nel centro urbano. Ma un'altra buona parte era costituita dalla minoranza di lingua e cultura slovena che il fascismo, movimento nazionalista per eccellenza, mal tollerava. C'erano, poi,  anche cittadini di altre etnie, culture e religioni che dovettero sottostare alle nuove direttive governative. Un'altra parte della cittadinanza era costituita dai cosiddetti "austriacanti" ovvero coloro che, pur italofoni e di cultura italiana, rimpiangevano, non proprio sommessamente, la passata appartenenza all'Impero Austro-Ungarico.

Trieste nel periodo tra la fine della prima e l'inizio della seconda  guerra mondiale ha avuto quello che naturalmente poteva aspettarsi ossia la continuità della gloria economica cresciuta lentamente sotto l'amministrazione asburgica sia dal punto di vista industriale che cantieristico e dei servizi. Si trovava, in sintesi, nella generazione di mezzo quella in cui si gode dell'operato della precedente amministrazione cercando in qualche modo di non perdere il prestigio acquisito.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Trieste ed i territori circostanti entrano in un periodo se non buio quantomeno confuso.

La città dopo aver subìto l'occupazione dell'esercito tedesco ormai in rotta, subìto l'occupazione del IX° Corpus dell'esercito Jugoslavo al comando del maresciallo Tito (1°maggio/10 giugno 1945), dopo aver subìto l'occupazione delle potenze alleate vincitrici del conflitto e rimasta per 9 anni sotto l'amministrazione del Governo Militare Alleato (GMA) fino all'ottobre del 1954, ritorna nuovamente sotto l'amministrazione Italiana. Nell'ottobre del 1954 Trieste vive quella che viene definita la "seconda redenzione" (?).

E da  questo momento entriamo nella terza fase di questa storia: ovvero nella cosiddetta  "terza generazione".

La guerra fredda è ormai iniziata  e come ebbe a dire W. Churchill:

"... da Stettino nel Baltico a Trieste nell'Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente..." .

Trieste si trova, quindi, in una posizione molto vulnerabile nel contesto geo-politico del momento.

Vengono rafforzati i confini con la presenza di tantissime forze militari e conseguentemente, lentamente ma inesorabilmente, quasi tutte le attività produttive, industriali e commerciali, vengono spostate e portate al riparo dalla possibile avanzata dell'esercito jugoslavo e/o degli eserciti del Patto di Varsavia.

Trieste si trova così depauperata di gran parte di ciò che Maria Teresa, i suoi antenati ed i suoi successori, avevano fatto per queste terre, per Trieste in primis.

L'esodo giuliano-dalmata vedrà migliaia di persone fuggire dall'Istria, dalla Dalmazia, da Fiume e da Pola, terre prima conquistate dall'Italia poi in forza del trattato di pace, conquistate dalla nuova realtà nazionale ovvero dalla Repubblica Federativa di Jugoslavia, per emigrare un po' in Italia o per  la stragrande maggioranza all'estero.

Le possibilità di lavoro, in una città che vide quadruplicare i suoi abitanti, nel secolo precedente in quanto la possibilità di crescere con il lavoro e con la propria capacità imprenditoriale non mancavano, negli anni 50 dello scorso secolo erano molto ridotte e per lo più privilegiavano i profughi ed gli esuli delle terre conquistate dalla Jugoslavia come vincitrice della seconda guerra mondiale. 

il trattato di Osimo, poi, ha dato il colpo finale a queste "vecchie province" confermando ciò che la Conferenza di Pace  di Parigi, a favore ovviamente dai vincitori ed il Memorandum d'Intesa di Londra avevano deciso.

(A questo proposito ci sarebbe da aprire tutto un capitolo riguardante la situazione del Territorio Libero di Trieste non ancora ben definito, ma questa è un'altra storia).

Gorizia si troverà tagliata a metà, l'entroterra di Trieste ridimensionato, l'Istria e la Dalmazia passate definitivamente all'allora Repubblica Federativa di Jugoslavia e poi rispettivamente alla Slovenia ed alla Croazia.

Trieste non godrà più di quella luce che, in 500 anni di storia, gli Asburgo seppero darle.

Le poche industrie rimaste, per lo più di dimensioni ridotte, soffriranno la crisi della fine del '900; la cantieristica  trova la sua sede definitiva  a Monfalcone, la gloriosa Fabbrica Macchine S. Andrea cessa di esistere e diventa Wartsila,  ovvero una multinazionale che come tale è soggetta a dislocazioni.

Ormai Trieste, con i territori circostanti, vive di turismo, di impieghi nei servizi, e solamente  negli ultimi anni un po' sulla crocieristica.

La funzionalità del porto di Trieste stenta a decollare.

Questo è quanto il cittadino medio triestino, quello che conosce la storia può valutare ed alla fine dire "si stava meglio quando si stava ... meglio".

Non è nostalgia e la realtà dei fatti.

Povero Nostro Franz !!


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