Gli ultimi giorni di Trieste ...
... "C’è la storia, poi c’è la vera storia, poi c’è la storia di come è stata raccontata la storia. Poi c’è quello che lasci fuori dalla storia. Anche questo fa parte della storia."
(cit. Margaret Atwood)
Erano gli ultimi giorni di ottobre del1918 e per Trieste, la grande Trieste stava per scoccare l'ora della sua fine.
Correva l'anno 1382, quando i rappresentanti di Trieste Andelmo Petazzi, Antonio di Domenico e Nicolò di Pica si recarono a Graz dal duca Leopoldo III d'Asburgo per chiedergli protezione e "donare" autonomamente la città di Trieste alla casata d'Asburgo per tutelarsi dalla soverchiante prepotenza della Serenissima Repubblica di Venezia e, da quel momento in poi, fatte salve alcune parentesi in cui Trieste fu ceduta per un breve periodo alla Serenissima Repubblica e fatte salve le tre occupazioni napoleoniche, Trieste rimase sotto l'ala protettrice dell'aquila asburgica fino all'ottobre del 1918.
Ma fu solo con l'ascesa al trono imperiale di Carlo VI, succeduto al padre Leopoldo I Imperatore del Sacro Romano Impero che, con l'istituzione del porto franco, si decretò per Trieste la sua futura fortuna.
E' da quell'atto e dalle successive "patenti" della libera circolazione in Adriatico, con il conseguente tramonto della potenza veneziana, e del libero esercizio della fede religiosa che la città, fino allora semplice borgo di pescatori e di commercianti di sale, iniziò la sua avventura nel commercio, nella navigazione, nelle assicurazioni e nella cantieristica.
L'ascesa al trono austriaco, per effetto della "Prammatica Sanzione" della figlia di Carlo VI, Maria Teresa e poi del figlio Giuseppe II e degli altri imperatori darà un ulteriore impulso allo sviluppo della città tale da ospitare una popolazione che era in crescente aumento e che alla fine del XVIII secolo avrebbe raggiunto i 30.000 abitanti, sei volte superiore a quella presente un centinaio di anni prima.
Il notevole sviluppo demografico della città e del suo territorio derivò, in gran parte, dall'arrivo di numerosi immigrati provenienti per lo più dal bacino adriatico come istriani, veneti, dalmati e friulani e sloveni, ma anche dall'Europa continentale come austriaci e ungheresi, e poi dai Balcani ed anche dall'arrivo di ebrei, greci e levantini.
Trieste divenne città multietnica.
La città si espanse, quindi, anche dal punto di vista urbanistico con la creazione di nuovi borghi che le diedero quell'impronta asburgica che conserva tuttora e il Borgo Teresiano, il Borgo Giuseppino e il Borgo Franceschino ne sono le testimonianze. In seguito la popolazione arriverà a toccare, agli inizi del XX secolo, le 250.000 anime.
Se nella seconda metà del XIX secolo in gran parte delle capitali Austriache e in Europa, ma soprattutto nella penisola italiana, i movimenti irredentisti cominciarono ad espandersi coinvolgendo le popolazioni e stimolandole alla rivolta nazionalistica, Trieste ne rimase pressoché immune. Ciò almeno fino agli ultimi anni dell '800 e l'inizio del '900 quando l'impero, gravato da problemi politici interni e da moti di malcontento in Vienna e nelle altre grandi città austro-ungariche, cominciò a sentire il peso della mutazione storica che stava sopraggiungendo ed iniziò ad irrigidirsi.
A Trieste d’irredentismo si parlava poco, Trieste lavorava, produceva e nonostante si tentasse di creare un clima di cattiva convivenza tra le varie etnie il popolo collaborava e contribuiva alla crescita comune in pace.
Trieste era a tutti gli effetti una città austriaca di lunga tradizione. Il fatto che nelle famiglie si parlasse l'italiano, più che altro il triestino, non può dare significato di appartenenza ad una realtà nazionale fino ad allora inesistente. D'altra parte si parlava anche lo sloveno, il tedesco e altre lingue e non per questo Trieste doveva essere necessariamente slovena, tedesca o di qualsiasi altra appartenenza nazionale, Trieste era Austria.
La madre patria dei triestini nati in quella città fino al 1918 era indubbiamente austriaca, ed è per tale motivo che decine di migliaia di ragazzi delle nostre terre partirono, per difendere la loro madre patria, con il 97° K.u.K. Infanterie Regiment “Freiherr von Waldstätten” per il fronte galiziano o imbarcati come marinai nel Seebataillon, e molti non ritornarono.
Con questo spirito Trieste visse gli ultimi giorni di certezza economica, politica data da quella appartenenza millenaria per entrare nell'incertezza del cosiddetto "ricongiungimento alla madre patria".
Fu l'inizio della Grande Guerra ma soprattutto l'entrata nel conflitto del Regno d'Italia nel maggio del 1915 rimasto fino ad allora neutrale, a dare un impulso considerevole al cosiddetto irredentismo triestino. Molti giovani già all'inizio del conflitto si rifiutarono di indossare la divisa autro-ungarica ed espatriarono a differenza degli altri giovani di cui abbiamo scritto poc'anzi.
Molte furono le bandiere tricolore che sventolarono negli ultimi due, tre giorni di ottobre, e successivamente nelle prime giornate di novembre, specialmente da piazza Grande verso la Piazza della Borsa ma, risalendo il Corso se ne videro sempre meno, la gente era confusa, combattuta da sentimenti pro e contro, sconcertata.
Ben presto, però, ci si accorgerà che la fine della "barbarie" austriaca darà inizio ad altre barbarie ben più gravi che segneranno gravemente tutta la prima metà del XX secolo e che ancora non sono sopite.
Trieste era allo stremo, affamata, sottoposta ad incessanti bombardamenti; in quei ultimi giorni di ottobre la città era alla prese con l'epidemia di "Febbre Spagnola" detta anche "Grippe" una grave forma influenzale che decimò la popolazione. Vennero intesificate le procedure di prevenzione in particolar modo nei locali pubblici, le scuole vennero chiuse e gli spettacoli teatrali sospesi. Nonnostante questo clima incerto i sentimenti di una buona parte della popolazione non erano mutati: le donne di Trieste, ad esempio, resero omaggio all’Imperatrice ed il Luogotenente barone de Fries-Skene ricevette la presidente e la vicepresidente del comitato di donne triestine che aveva espresso il desiderio di esprimere all’Imperatrice un indirizzo di devozione, per il quale la Sovrana era stata molto commossa e molto riconoscente.In altre province come a Gorizia si manifestò piena adesione a quanto previsto dal Manifesto imperiale del 16 ottobre prevedendo di invitare i deputati del Consiglio nazionale italiano in Austria a richiedere l’autonomia del Friuli all’interno dei confini dello Stato federale austriaco, partecipando alla posizione particolare assegnata a Trieste, a cui erano legati da comuni interessi economici.
Ma la storia aveva ormai segnato il suo destino il 24 ottobre a Vittorio Veneto.
Verso mezzogiorno del 30 ottobre 1918 un Comitato di Salute Pubblica, lasciato il Caffè Specchi si presenterà al Luogotenente barone Fries-Skene, per dichiarare la volontà di prendere possesso, visti gli ultimi eventi militari e politici, della città di Trieste. Il luogotenente dopo aver consultato i suoi superiori a Vienna acconsentirà alla richiesta alla sera stessa e si accordò di consegnare gli uffici pubblici al Podestà Alfonso Valerio al mattino del il 31ottobre. Quel giorno Trieste cesserà la sua lunga millenaria storia, si toglierà gli abiti austriaci da tempo indossati e assumerà un altro aspetto. Il Palazzo della Luogotenenza diventerà Prefettura, Palazzo del Governo, Palazzo del Commissario del Governo a seconda dei periodi. Nei giorni successivi, e precisamente il 3 di novembre arriverà a Trieste il generale Carlo Petiti di Roreto che, sbarcato dal torpediniere "Audace", accolto dal Comitato di Salute Pubblica, batterà il piede sul molo San Carlo pronunciando le parole:
"IN NOME DI SUA MAESTA' IL RE D'ITALIA PRENDO POSSESSO DELLA CITTA' DI TRIESTE" (interessante è vedere in un qualsiasi dizionario della lingua italiana i sinonimi della locuzioni "prendo possesso").
Il giorno 4 novembre il generale Petiti di Roreto scioglierà il Comitato, si dichiarerà governatore della città ed emanerà un editto proclamando il coprifuoco e l'obbligo della consegna da parte dei triestini di tutte le armi in loro possesso pena il deferimento presso il Tribunale Militare. Inoltre emanerà l'ordine di distruggere tutti i simboli che potessero richiamare al precedente governo Austro-Ungarico.
E così le famiglie e le strade cambieranno nome: una per tutte “Via della Caserma” diventerà, guarda caso, “Via XXX Ottobre”, e a Trieste verrà imposta una nuova bandiera, una delle sette che come ha ben raccontato l’avv. Gabrio de Szombately nel suo libro “Sotto 7 bandiere”, sventolerà al soffio della bora triestina.
Le "Vecchie Province" cesseranno da allora di esistere.
Nuovi "padroni" governeranno questi territori e un po' alla volta daranno la loro "impronta" a queste terre. Trieste vivrà ancora per un po' sugli allori lasciati dai "barbari" predecessori e lentamente verrà emarginata come le compete per la sua particolare posizione geografica nel nuovo assetto geo-politico, non più al centro economico e marittimo dell'Impero ma in un angolo dell'estremo nord-est della penisola italiana, da lasciare decadere lentamente per non intaccare le risorse delle altre città italiane a cui Trieste potrebbe far concorrenza.
Poi le tragedie delle dittature e della seconda guerra mondiale faranno sventolare sui cieli di San Giusto altre, molte altre bandiere di diverse nazionalità, ma una sola sarà sempre la stessa quella con l'alabarda di San Sergio in campo rosso, perché Trieste, pur essendo felicemente appartenuta per tanti secoli all'Austria e nel corso del novecento ad altre identità, è sempre Trieste, quella città a cui molti aspirano per amore o per interesse.
Trieste ha sempre affascinato il mondo e continua a farlo.
Ma ci sono due espressioni molto usate in queste circostanze che non mi convincono completamente, e sono: "REDENZIONE" e "RICONGIUNGIMENTO".
1) REDENZIONE: il dizionario enciclopedico Treccani cosi si esprime: "Il riscatto dell’uomo da una condizione di infelicità e di peccato: la religione di r. o di salvezza (soteriologica) offre all’uomo la via e i mezzi per superare la propria condizione naturale, conquistando una salvezza superiore. Questa concezione della r. si riscontra solo in determinati tipi di religione (in particolare nelle religioni di pretese universalistiche e nei misteri), mentre è assente in quelle cosiddette naturali o nazionali (religioni primitive, politeismo greco-romano)."
Trieste non era infelice e non si trovava in stato di peccato tale da essere redenta. Il Redentore per "antonomasia", per noi credenti, è il Cristo Gesù che si è fatto Uomo per redimere l'umanità dalla colpa del peccato originale. Ovviamente ognuno è libero, secondo il suo uso e consumo e di attribuire a questa parola significato diverso.
2) RICONGIUNGIMENTO: sempre il dizionario enciclopedico Treccani così si esprime: "ricongiungere v. tr. [comp. di ri- e congiungere] (coniug. come giungere). – Congiungere di nuovo: ricongiunse i pezzi del foglio con una lista di carta gommata. Di persone, riunire nuovamente; spec. nel rifl.: dopo tre giorni di marcia, i due reparti si ricongiunsero; in avvisi mortuarî: l’anima della madre si è ricongiunta in cielo a (o con) quella del figlio prematuramente scomparso."
Trieste non aveva la necessità di ricongiungersi ad alcuna entità politica o nazionale perché da nessuna di tali entità era stata staccata.
Ora mi si "gabellerà" sicuramente per "anti-italiano" ed "austriacante" tutti termini questi che al mondo d'oggi sono anacronistici ed obsoleti. Io personalmente non sono contro alcuno e rispetto l'ordine costituito quindi non posso negare che la storia ha voluto che diventassimo italiani e di questo, in un certo qual senso, ne prendo umilmente atto come lo fece il grande Julius Kugy:
"Oggi sono cittadino italiano, vivo tranquillo e contento in Italia. L'Italia e' diventata la mia seconda patria. La vecchia Austria che con la sua aureola e con tutte le sue magagne e i ben noti difetti ho amato con tutto il cuore, per antica tradizione e' scomparsa. Scomparsa per sempre. La storia ha detto la sua parola, il suo passo ferrato vi e' passato sopra. M'inchino alla sua sentenza. Ma desidero si sappia che, senza esitare, ho messo a servizio della patria morente il sangue e gli averi, la salute e la vita; che tenni duro, forte e fedele, finché crollo' moribonda, come i leoni di bronzo, feriti a morte, sul Predil e a Malborghetto."
(J. Kugy - La mia vita nel lavoro, per la musica, sui monti - Edizioni Eurograf).
Ciò non toglie, però, che non siamo stati né redenti né ricongiunti perché alla resa dei conti siano stati semplicemente conquistati.... posseduti (secondo quanto dichiarò il generale Petiti di Roreto al momento dello sbarco sul suolo triestino).
Girando, però, per le strade di Trieste, per le strade di Lubiana, osservando i palazzi di Vienna o quelli di Budapest o passeggiando per le strade della vecchia Praga si nota una impressionante somiglianza architettonca ed anche di costume tra queste città; nei locali tipici i piatti tradizionali sono quasi gli stessi, nei Caffè Antichi si respira la stessa aria che si respirava nel "mondo di ieri" che non è ancora morto perchè vive nelle tradizioni ma soprattutto nella storia, nella vera storia e perchè soprattutto come ebbe a dire Alessandro Manzoni:
“Non sempre ciò che viene dopo è progresso.”
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