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L'isola che non c'è ... più!


Commemorazione, Memoria, Ricordo…

… sono sentimenti che, toccando le corde più profonde dell'animo umano, dovrebbero suscitare emozioni di intima passione e cordoglio; dovrebbero, e il condizionale come si suol dire, è d'obbligo perché in questi ultimi mesi nei nostri territori, e non solo, questi sentimenti si sono confusi col rancore, rivendicazioni, odi non ancora sopiti.

Eravamo un'isola felice dove, come ebbe a dire nell'ottobre del 1918 il Conte Burian in un appello ai popoli dei due stati della Monarchia austro-ungarica …

… “proprio da noi diverse nazionalità hanno trovato una libertà di sviluppo quale non si è avuta in nessun altro Stato. Noi abbiamo dimostrato che i popoli del più differente carattere possono vivere e lavorare insieme e in avvenire anche da noi un popolo libero potrà sussistere sulla libera terra”.

Ora quell'isola felice non esiste più.

Siamo diventati un'isola circondata da un mare buio e tempestoso che ad ogni suo moto ondoso le popolazioni vengano aggredite da una sorta di "tsunami" che scaraventa loro addosso i risvolti più bui della nostra storia post 1918 quali il negazionismo, il revisionismo, il nazionalismo, di qualsiasi colore esso sia, risvegliando, come dicevano, odi e rancori non ancora sopiti ma soprattutto innestandoli, laddove non ci sono, come una sorta di virus che ti ammala e ti rattrista.

Mi scrive un amico del gruppo "Noi delle Vecchie Province" ...

<<Caro Carlo, sono molto deluso e triste. Domenica scorsa ... [omissis] ... siamo ritornati indietro di 70 anni...[omissis] ...>>

Questo amico si riferiva a quanto accaduto, nella giornata del ricordo, durante la commemorazione dei martiri delle foibe a causa di alcune poco fortunate affermazioni esternate nel corso degli interventi da parte di rappresentanti delle istituzioni non solo italiani ma anche europei che, non conoscendo a fondo la storia delle nostre terre ma soprattutto ignorando quanto quella ferita sia ancora aperta, si sono lasciati andare a delle asserzioni che hanno suscitato dure risposte anche a livello internazionale.

Ecco questo è uno di quei "tsunami" che la nostra isola, ahimè non più felice, ha dovuto sopportare e sta tutt'oggi sopportando con un susseguirsi di prese di posizione dei rappresentanti delle altre espressioni politiche e sociali che stanno buttando anch’essi letteralmente benzina su un fuoco non ancora del tutto spento.

Reazioni giustificate anche se in presenza di una celebrazione, di un ricordo che doveva esprimere la compassione e l’umana pietà per le vittime di quei gravi fatti senza però che questo prevarichi l’importanza reale della celebrazione.

In queste storie ci sono vittime e carnefici che molto spesso si confondono ma che quasi sempre i carnefici vengono a trovarsi da ambedue i fronti; è la conseguenza della guerra, la conseguenza delle imposizioni ideologiche che i nostri territori hanno dovuto subire su tutti i fronti.

Dal 1918 in poi le nostre terre, ma tutta l’Europa in generale, ha vissuto efferatezze inimmaginabili e sta vivendo tutt’ora situazioni di tensione internazionale che con l’avvento della nuova Europa si sperava fossero un ricordo.

Un mio caro conoscente, importante rappresentante della minoranza, o forse meglio maggioranza di cultura slovena a Trieste, soleva spesso dirmi:

...<< Carlo stai attento a tutti quei movimenti politici, di pensiero o di qualsivoglia natura in cui la loro definizione porti il suffisso “…ismo”, sono pericolosi! >>...

e non aveva torto.

Faccio un passo indietro nella storia del gruppo “Noi delle Vecchie Province” che forse servirà anche a comprendere, se ce ne fosse ancora bisogno, lo spirito che ha animato questa iniziativa.

Era il settembre del 2017 quando, attirato dalla pubblicità che veniva data in Trieste al 300° genetliaco di Maria Teresa, ho cominciato a guardarmi attorno.

Ero da tempo in pensione e stavo pensando a riempire le mie giornate. C’era in città una bellissima mostra sulla nostra Imperatrice e varie conferenze tenute da illustri personaggi come Paolo Mieli e Philippe Daverio.

La mostra in particolare aveva suscitato in me forti emozioni perché mi aprì gli occhi e fatto vedere tutto ciò che la storia che ci era stata insegnata e che ancora viene raccontata era privata di qualcosa di molto importante: la nostra vera appartenenza, la nostra genesi, la nostra identità.

La conferenza di Philippe Daverio, a differenza della “lectio magistralis” di Paolo Mieli intitolata “Una Grande Donna, Un Grande Impero”, si intitolava “Spaghetti vs Kartoffeln” il che predisponeva già al confronto di due culture in modo contrappositivo sebbene anche questa “lectio” risultasse interessante.

Da quel’esperienza emotiva è nato il gruppo “Noi delle Vecchie Province” e mai mi sarei immaginato che potesse crescere sino ad arrivare a tutt’oggi a poco meno di 800 amici che più o meno attivi si sono iscritti per curiosità o per interesse alla problematica che il gruppo propone.

Il gruppo però ha voluto porre dei limiti temporali che travalicandoli si potrebbero innescare polemiche o, anch’or peggio risvegliare, anche al suo interno, antichi rancori che come sta succedendo in questi giorni non sono ancora del tutto placati, anzi.

Ed è in previsione di queste evenienze il gruppo, come dicevamo, si è imposto il limite temporale del novembre 1918 anno in cui, disgraziatamente, le Vecchie province hanno cessato di esistere. “Noi delle Vecchie Province” è un gruppo eterogeneo al cui interno possiamo trovare amici delle più svariate provenienze, di varie culture, di varie fedi religiose, di vari orientamenti socio-politici.

Nel rispetto di tutte queste diversità deve ancor di più essere osservato il limite del 1918 ma soprattutto osservato con estremo rigore, in special modo in questo periodo di grandi tensioni, le regole che il gruppo si è imposto.

Qualcuno critica il fatto che il gruppo è, per decisione fondativa, mono-lingua. Ciò è giustificato dal fatto che il gruppo vuole far conoscere, al di fuori dei suoi confini, questa storia che, se a noi originari di queste terre, a volte ci risulta incompleta per coloro che queste terre le conoscono solamente per averle viste su una cartina geografica è assolutamente sconosciuta. La lingua italiana in questo disegno vuole essere non una sorta di sciovinismo ma il mezzo per arrivare a tutti coloro che hanno la volontà di conoscere queste vicende.

La storia quella vera, quella con la S maiuscola è una cosa seria e come tale incontrovertibile e va raccontata dalla base, da coloro che l’hanno vissuta in prima persona o che ne hanno sentito parlare da chi l’ha vissuta però senza l’oscurantismo ideologico di qualsiasi colore esso sia.

La nostra storia, quella delle Vecchie Provence termina nel novembre del 1918. Tutto quello che è accaduto dopo non riguarda più “Noi delle Vecchie Province” e non verrà trattata in questo contesto. In rete di social che trattano argomenti post 1918 ce ne sono tantissimi nei quali è possibile accedere.

Noi nel novembre 1918 siamo morti.


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